L’opera d’arte totale in un frammento

“Ogni particolare ha la sua memoria e suggerisce ciò che ha visto, vissuto e ricordato”. Così Carlo Vincenti esorta a guardare e ri-guardare lo scarto che, nella custodia, si traduce esattamente nel suo contrario, nel rifiuto di scartare.

Tutto è ricordo (letteralmente “da tenere vicino al cuore”): lacerti di schizzi abbandonati, biglietti di viaggio obliterati, ritagli di dipinti abbozzati, strappi di giornale abbandonati.

Nel “frangere”, tuttavia, qualcosa di sacro sopravvive all’oggetto frantumato. Nel ritagliare, spezzettare, sminuzzare qualcosa supera l’oggetto e allude al segno, all’atto stesso. È una vera e propria “fractio panis”, laddove il miracolo è nel sopravvivere alla noia, alla solitudine, all’oblio del quotidiano.

Carlo Vincenti frange e in-frange tutte le regole del magniloquente mondo del mercato dell’arte, che inneggia lodi e brucia incensi all’altare della fama e della gloria, sacrificando la tecnica agli idoli del finito e del rifinito, del compiuto e dell’esatto, del perfetto e dell’assoluto.

No. Carlo è poeta delle myricae, delle piccole, umili cose, dell’incompiuto frammento che sacrifica e congela l’intuizione, anche geniale, all’incanto dell’abbozzo, del germoglio, dell’origine. Senza retorica, senza rimpianti.

La sua è una poesia visiva che non si attorciglia su sé stessa, non si abbarbica sul suo fiero stelo, non si compiace delle sue acrobatiche involuzioni ed evoluzioni, ma fuoriesce da sé, indica altro da sé. Come una melodia rumorosa freccia, come un armonico, ruvido, spigoloso monito.

La sua intuizione sinestetica di “porti inauditi di trombe di navi” il suo ascolto sintetico di “deliri immobili e silenziosi di solarità bianche” trabocca in una musica teatrale.

Fratto/C è sintesi e sinestesia, è opera d’arte totale che fonde verso, schizzo, suono e gesto.

Carlo Vincenti approda all’opera d’arte totale, ma senza le magniloquenti tube wagneriane, senza le elucubrazioni antroposofiche di Skrjabin: la sua è una poetica del frammento. È la musica a traghettarlo verso il numero, è la pittura a trasportarlo verso il segno. E qui scopre il numero, sintesi sinestetica dell’universo espressivo.

Nel numero Vincenti si trova e si ritrova.

Il numero è matrice primigenia, è la cifra con cui un architetto invisibile capricciosamente disegna tutte le cose.

Carlo Vincenti va ancora studiato, de-cifrato. Perché Carlo è un universo da esplorare, a partire dal segno e dal numero.

Carlo Vincenti merita di più, più di questo nostro tentativo, anch’esso frammentario, di riportarlo alla memoria nella sua sonnacchiosa Viterbo.

E il silenzio cala davanti ad affermazioni come questa: “Il tempo è una specie di numero del movimento o anche in generale intervallo (musicale) della natura dell’universo”.

A Carlo che vive, sempre.

Barbara Aniello